2. L’Alleanza

(I superiore)

La Nuova Alleanza (Libro dell’ESODO)

Lo Spirito di Cristo fa fiorire il deserto: torna la vita, noi diventiamo testimoni di luce! Non siamo più divisi e chiusi in noi stessi, non siamo più sterili e fuori della storia; lo Spirito invade il cuore, ci rende nuova creatura!

Sono venuto a portare il fuoco sulla terra e come desidero che divampi nel mondo e porti amore ed entusiasmo in tutti i cuori. Non abbiamo ricevuto uno Spirito di schiavitù ma uno Spirito di amore, uno Spirito di pace nel quale gridiamo Abbà Padre! Abbà Padre! Lo Spirito che Cristo risuscitò, darà vita ai nostri corpi, corpi mortali e lì renderà strumenti di salvezza, strumenti di salvezza.

FEDELTÀ DI DIO

Dopo pranzo ...

Introduzione

1) La professione di Fede ci ha permesso di affrontare le esperienze nuove della nostra vita (scuola superiore, amicizie) con una carica tale da farci superare incertezze, paure e compromessi. Poi questa forza alternativa è andata sempre più affievolendosi per diluirsi in un appiattimento sempre più insoddisfacente. Che cosa è avvenuto?
Il potere del quotidiano e della mentalità comune ci ha riassorbiti a poco a poco nella « normalità », facendoci dimenticare molto spesso le nostre responsabilità di chiamati. Avvertiamo la drammaticità dei problemi in cui siamo immersi in famiglia, a scuola e nella società ma tentiamo di tenerli lontani da noi il più possibile alienandoci in un tipo di vita che ci garantisce dagli scossoni e dagli imprevisti.
Sentiamo addosso l’impotenza e l’impossibilità di fare qualcosa: anche l’esporsi in prima persona in un rischio che non vogliamo correre (non servirebbe a niente, anzi…, ci diciamo). Preferiamo allora rimanere ancorati a quelle poche soddisfazioni che ci possiamo permettere (es. divertimento) adattandoci volta per volta con compromessi che mettono a tacere la nostra coscienza e uniformandoci al « tutti fanno così » e al « tutti pensano così ».

2) Questa esperienza può essere indicata come mancanza di fedeltà: se è vero che la pressione tirannica esercitata sulla nostra volontà dalla mentalità comune è notevole e se è vero che la paura di essere soli ad andare controcorrente ci rende più deboli, è anche vero che da parte nostra troppe volte viene a mancare una vera disponibilità a reagire a queste situazioni.
La catena di scusanti, dietro cui ci nascondiamo, si allunga sempre più, costringendoci in una schiavitù sempre più pesante. Se fossimo abbandonati a noi stessi non sapremmo più trovare le forze per risalire la china di questo precipizio che ci conduce verso l’assurdo.
Ma Dio rimane fedele e ci ama: nonostante i nostri tradimenti non ci abbandona in balìa di queste forze di morte. A chi si rende disponibile fa sentire la sua presenza che salva, a chi non si chiude fa giungere la sua chiamata, a chi vuole dona la forza per liberarsi dalla schiavitù. Chiede la fede, la fiducia costante e assidua che ti fa scoprire a poco a poco il dono di una presenza che dà unità e significato ad un cammino faticoso e difficile. È una perseveranza fondata sulla Sua Parola che viene chiesta come condizione per uscire da quelle schiavitù che rendono la vita un non senso.

Per la riflessione:

1)    Che cosa ha significato per me la professione di fede?”
2)    La mia esperienza di quest’anno rispecchia quanto si è detto? Perché?
3)    Quali sono i miei interessi?
4)    Quali sono le scusanti dietro le quali mi nascondo?
5)    Quali sono le difficoltà che ho incontrato a casa, a scuola e nella comunità?

I – IO SARÒ CON TE (Es 3, 12)

1 ) Il peso della schiavitù non è dato tanto dal fatto di essere sottoposti a fatiche dure e spesso inumane, ma dalla presa di coscienza di essere costretti entro schemi di comportamento che riducono ad un anello di un grosso ingranaggio. Per questo la schiavitù può essere anche piacevole fintanto che non si arriva a questa consapevolezza.
Anche la schiavitù di Israele in Egitto poteva essere tollerata e in qualche caso accettata. Infatti ciò che li rendeva schiavi non era tanto il lavoro che dovevano fare, ma il fatto che il Faraone potesse disporre della loro vita a proprio piacimento. (Es 1, 8-22).
In questa situazione Mosè si era addirittura integrato a tal punto da assimilare la mentalità e il costume della corte faraonica e da condurre una vita agiata e rispettata. Quando esce e prende coscienza della situazione, reagisce istintivamente e con violenza di sua iniziativa: ma è un fallimento ed è costretto alla fuga. (Es 2, 11-15).

2) Mosè si adatta immediatamente alla nuova situazione: dimentica quasi l’accaduto e si ricostruisce una vita sicura, tranquilla. Solo l’incontro personale con Dio al roveto ardente sarà in grado di scuoterlo dalle sue abitudini. (Es 2, 16-21).
Tenta comunque di opporre le sue obiezioni alla chiamata di Dio: ha paura di rischiare un nuovo fallimento e ha paura di dover cambiare la sua vita per imbarcarsi in una impresa piena di difficoltà.
Per questo mette in campo le sue scuse: mi scambieranno per un missionario, non ho le doti, non ho la forza, non so parlare, e poi perché proprio a me… L’unica risposta che ottiene è l’assicurazione che Dio è con Lui; è chiamato a giocare tutta la sua vita unicamente su questo fidandosi della fedeltà di Dio che non si arrende e che con pazienza realizza le cose più strabilianti.
E su questa « parola » decide e ritorna in Egitto per iniziare la sua missione.

3) L’inizio di quest’opera di liberazione però è tale da scoraggiare chiunque: sembra un nuovo fallimento sia nei confronti del Faraone che nei confronti del popolo.
La sua azione è travisata da una parte e dall’altra e peggiora il peso della schiavitù. La sua fede viene quindi messa a dura prova tanto da essere tentato di lasciar perdere tutto: ma la consapevolezza di essere chiamato e mandato lo sostiene. Per questo si rivolge con fede a Colui che lo ha mandato e prega (Es 5).
I segni che Dio è al lavoro per cambiare i cuori e le cose non tardano a farsi sentire: con pazienza e gradualità la situazione cambia completamente (Es 7, 11).
Quella che era solo una speranza comincia a diventare realtà concreta: finalmente, dopo tante incertezze e sofferenze, il passaggio avviene. Inizia un cammino di libertà. (Es 14).

Per la riflessione:

1)    Qual’è la schiavitù che limita la mia personalità e il mio modo di agire?
2)    Sono nelle mie scelte libero da condizionamenti esterni? Mi sono adattato alla situazione per comodità?
3)    Ho provato a reagire a questa mentalità andando « controcorrente »? Cosa ho ottenuto?
4)    Sono stato fedele a questa scelta? Perché?
5)    Ritengo di essere capace da solo a mantenermi fedele?

II – SI DIRESSERO VERSO IL DESERTO (Es 15, 22)

1)    Ma il passaggio del mar Rosso, cantato con gratitudine e gioia in Es 15, 1-18, non è ancora una; libertà, la terra dove « scorre latte e miele »: prima si poteva sognate e pensare che quel momento fosse la soluzione di tutti i problemi ma dopo ci si trova di fronte al deserto. Man mano che ci si addentra, con un cammino lungo e faticoso, le difficoltà aumentano, si aggiungono nuovi problemi e il sogno « della libertà » sembra allontanarsi sempre più.
Anche la sicurezza, che quel momento aveva dato, svanisce. Diventa invece sempre più evidente la precarietà di quella situazione: manca il cibo, manca l’acqua, gruppi di predoni insidiano il cammino, il deserto, non finisce più… (Es 15, 22-27).
Nasce allora la mormorazione, la sfiducia, il desiderio di tornare indietro e di abbandonare un’impresa così rischiosa. (Es 16, 1-4).
Ci si divide e anche gli inviati di Dio perdono la loro credibilità. Si vorrebbe una prova inconfutabile che garantisse, che aiutasse a capire, che fosse l’ancora a cui attaccarsi in mezzo a quelle difficoltà. (Es 17,1-7).

2)    Attraverso queste esperienze dolorose il popolo matura la consapevolezza di dover affidare là propria vita e il proprio futuro unicamente alla Parola di Dio. Non ci sono sicurezze umane a cui appellarsi; c’è solo una assoluta povertà. Non ti puoi neppure garantire una minima riserva di manna perché è destinata a marcire subito. Questo cammino nel deserto è dunque una prova attraverso cui Dio educa il suo popolo a fidarsi di Lui: è Lui infatti che provvede al cibo, che fa sgorgare l’acqua dalla roccia, che dà la vittoria sui nemici. (Es 16).
Chiede però una fiducia incondizionata alla sua volontà, una fede salda nella sua parola: tutto il resto sarà dato a tempo opportuno e secondo le necessità di ognuno.
È nell’obbedienza alla sua Parola che si realizza il suo progetto di liberazione: chi costruisce e fa veramente è Lui attraverso la sua Parola : l’uomo è chiamato a dare la sua attiva collaborazione in ossequio a questa Parola che chiama e dà la vita. (Me 6, 25-34).

3) Nello scontro con gli Amaleciti tutto questo è descritto in modo mirabile: ciò che procura la vittoria non sono le armi e l’abilità di Giosuè, ma la preghiera di Mosè: in essa il popolo riconosce che chi fa, chi costruisce, chi vince è Dio; l’uomo è in grado di continuare il. suo cammino, e di vincere le difficoltà solo nella misura in cui riconosce questa dipendenza. È infatti per questa dipendenza che gli ebrei, da schiavi dispersi, sono diventati popolo unito e libero: è nella dipendenza dalla Parola di Dio che il loro cammino -potrà arrivare ad una meta, ed è questa dipendenza che lo farà un popolo unico nella storia di tutta l’umanità. Non sono certo le loro discussioni, le loro azioni a portarli alla libertà ma solo l’autorità di Dio riconosciuta attraverso quell’atteggiamento umano che chiamano preghiera, (Es 17, 8-16).

Per la riflessione:

1)    Quando decido di seguire Dio, cosa mi attendo? Un cammino facile, senza crisi, difficoltà, ripensamenti, dubbi, o sono disposto ad accettare fino in fondo il suo piano che è sempre una chiamata al deserto?
2)    Sono convinto che l’addentrarsi nel deserto, mi porti a realizzare me stesso, o lo ritengo un ostacolo al mio « sogno di libertà »?
3)    Il mio « sogno di libertà » coincide con quello di Dio?
4)    Nei momenti di prova riesco a credere al piano di ‘ Dio o rifiuto anche i suoi inviati e pretendo prove
straordinarie a cui ancorare la mia fede?
5)    Su che cosa baso la mia fede?
6)    La Parola di Dio, occupa veramente un posto prioritario nella mia vita o la metto in discussione?
7)    Qual’è la condizione indispensabile perché la Parola di Dio sia accettata?
8)    Qual’è il mezzo attraverso il quale riconosco la mia dipendenza da Dio? Perché?

III – ECCO IO CONCLUDO UN’ALLEANZA (Es 34, 10)

1) Il cammino nel deserto prepara il popolo a quella che sarà l’esperienza fondamentale della sua storia: l’alleanza con Dio. Dalla fedeltà o meno a questo rapporto di alleanza dipenderanno poi, per sempre, le sue sorti. (Es 19, 16-20).
L’alleanza è il dono di Dio che fa partecipe della Sua benevolenze e della Sua comunione coloro che accettano di mettere a fondamento della propria esistenza la Sua Parola. È partecipare alla vita stessa di Dio, impegnandosi a seguire la Sua volontà espressa coi comandamenti (le 10 Parole. Es 20, 1-7).
Mosè porta impresso sul suo volto questa novità di vita e partecipa talmente dell’intimità di Dio da riflettere la sua gioia. Sul Sinai Dio ha iniziato l’alleanza in forma strepitosa e sensibile (Es 34, 28-35), la continua poi, richiamando l’uomo a questa comunione, attraverso tutti quei segni di cui fa continuamente dono nei Suoi fedeli, (tempio Es 33, 7-11; 40, 34-38; nube 23, 20-33, ecc.).

2) L’impazienza umana e l’incapacità di attendere con fede, hanno portato il popolo di Israele a costruirsi il suo vitello d’oro, il suo idolo. Riconoscono, almeno a parole, l’azione liberatrice di Dio, ma la loro fretta li ha portati a presumere di poter costruire con le loro mani ciò che avrebbe continuato questa azione. È l’errore che molte volte si fa quando si dimentica la fedeltà totale e incondizionata a Dio. Si pensa di poter andare avanti fondandosi sulle proprie doti, sulle iniziative, sull’amicizia, ecc. e non ci si accorge che così si sta bruciando l’incenso sull’altare di un falso idolo: le conseguenze non possono non essere deleterie e gravide di pericoli mortali. (Es 32).  Ciò che conta è e rimane la fedeltà alla Parola, la fedeltà a Dio.

3) Dio da parte Sua garantisce la Sua continua presenza per guidare il cammino di liberazione. Questa non avviene in un momento, ma è graduale e giungerà ad abbattere e a frantumare tutti gli idoli. L’esperienza del Sinai non è quindi solo un punto di arrivo, ma un punto di partenza in questo cammino graduale e faticoso verso una meta sicura (Es 23, 20-33).
Dio infatti ha portato il suo popolo a fare questa esperienza di incontro con Lui e di alleanza perché questo popolo sia nella storia l’intermediario perché ogni uomo possa raggiungere la comunione con Dio e con i fratelli. (Es 19, 1-8).
È insomma una vocazione di servizio per essere « sale della terra » e « luce del mondo » l’esperienza del popolo di Israele descritta nel libro dell’Esodo: è la vocazione a cui siamo chiamati ogni volta che Dio ci fa dono della Sua intimità e della Sua comunione. (Mt 5, 13-16).

Per la riflessione:

1)    Ho pensato qualche volta al grande dono di Dio, che dopo avermi chiamato alla vita, mi offre la Sua alleanza? Vuole fare comunione con me?
2)    Riesco a scoprire i segni, attraverso cui Dio mi chiama a questa comunione?
3)    Sono sempre fedele alla Sua alleanza, attendendo con pazienza il piano di Dio, o cerco di costruirmi altri idoli, dimenticando la sua fedeltà?
4)    Perché a volte non sono sale e luce del mondo? È forse perché non faccio comunione con Cristo?

IL SACRAMENTO DELL’ALLEANZA
Conclusione

1) Il patto di alleanza tra Dio e il suo popolo sarebbe restato lettera morta finché ogni membro, che lo aveva contratto, non avesse deciso di accoglierlo e di praticarlo.
Questa decisione si manifesta in tre momenti successivi: innanzi tutto viene ascoltata la proclamazione di questo patto per conoscerlo nelle sue implicazioni. Poi viene sottoscritto con un solenne impegno espresso nel sacrificio. Infine il banchetto di comunione manifesta la nuova realtà di vita che ne scaturisce: (Es 24, 1-11).    ‘
Anche il momento del passaggio (Pàsqua) è celebrato con il rito dell’agnello in cui si riconosce e si accetta l’iniziativa di Dio. In questa celebrazione il passato si rende presente, la salvezza celebrata nel memoriale diventa attesa, forza e speranza per il presente e il futuro. Ciò si avvererà ogni volta che il popolo vorrà riscoprire e trovare nella Pasqua e nella Alleanza quella forza che lo può sostenere e guidare nel suo cammino. (Es 12, 1-14; 13, 1-10; Giosuè 8, 1-12…).

2) In questi riti puoi riscoprire la struttura e il significato della celebrazione eucaristica: infatti l’Eucaristia è il Sacramento della nuova ed eterna alleanza tra Dio e ciascuno di noi, suggellato dal sacrificio di Cristo, Agnello pasquale. Non è però una semplice cerimonia di ricordo a cui partecipare passivamente, ma un gesto significativo e importante in cui vieni coinvolto con la tua volontà di aderire oggi a questa alleanza di comunione.
Per questo nell’Eucaristia il Cristiano trova la fonte da cui promana ogni iniziativa e ogni attività; per questo dall’Eucaristia nasce la Comunità e il servizio agli altri e per questo nell’Eucaristia si esprime tutta la mia vita. Celebrare l’Eucaristia è quindi riconoscere che l’essere una cosa sola non è frutto dello sforzo umano, ma dono di Cristo, che, nello spezzare del pane, ci fa partecipi della Sua capacità di amare.

Per la riflessione:

1)    A questo punto com’è la mia risposta? Mi sento disponibile al sì senza riserve?
2)    La comunione con Cristo, avviene soprattutto durante la celebrazione della S. Messa. Che cosa rappresenta per me, semplicemente un rito o riconosco la presenza reale di Cristo: vita, speranza, li-
3) Mi sono mai chiesto come mai è tanto difficile fare comunità? L’esperienza di questo anno passato mi ha insegnato che veramente solo l’Eucaristia ci dà la forza di fare comunione. Abbiamo fatto in questo alcuni piccoli passi… Quale dovrà essere perciò il mio impegno?
4) Se riusciamo a fare comunione né deriverà anche una maggiore disponibilità di servizio. Ne sono convinto?

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