7. La preghiera

 (giovani, studenti e lavoratori)

Madonna del Falò

« Ti attirerò a me ti condurrò nel deserto e parlerò al tuo cuore ».
(Osea 2, 16)

SERVE PREGARE

1)    Si prega molto poco e spesso male: è importante quindi chiedersi il perché se, come cristiani, siamo convinti della sua importanza.
La risposta non può essere semplicemente quella di indicare la negligenza o la pigrizia come spiegazione di questo fatto: c’è un problema più profondo, legato alla nostra mentalità e alla nostra cultura. Viviamo in una epoca in cui si vogliono i fatti, in cui vale chi produce fatti.
BISOGNA fare e fare molte cose, con scadenze che non si possono ignorare perché la vita continua. Si deve essere sempre efficienti e sulla cresta dell’onda se non si vuol essere travolti.
La preghiera non produce, non serve ad osservare scadenze, prende del tempo, oggi così prezioso: anzi distoglie dagli impegni per una coltivazione egoistica della propria pace interiore. Quando poi questa istanza di efficienza si riveste di carità, la tentazione di lasciare poco spazio alla preghiera si fa più sottile e allettante.

2)    Nascono allora le domande: serve pregare, perché pregare? e le scusanti: tutto è preghiera, lavorare è pregare, prima i tuoi impegni (famiglia, lavoro, scuola…) e poi… Ci si appella anche ad una frase evangelica: « Non chi dice Signore, Signore, entrerà nel Regno dei Cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio che è nei cieli » (Mt 7, 21).
L’importante è fare: pregare « troppo » è correre il rischio di un verbalismo formale, di una fuga dai problemi, di un intimismo bigotto e arretrato, di commercio per garantirsi i favori divini.
Le conclusioni pratiche e accomodanti sono che è giusto dire qualche preghiera alla sera e qualche volta al mattino o quando ci si sente e che è giusto andare a messa, quando si ha tempo, ma il tutto senza esagerare o farsene un dramma.

LA PAROLA…

1) Il punto di partenza per una riflessione vera sulla preghiera è una convinzione radicata e fondamentale del cristianesimo: protagonista della vita, specialmente que]la comunitaria, è la Parola di Dio .Ne fanno testimonianza gli Atti degli Apostoli: in questo libro, dove si raccontano gli eventi della Chiesa primitiva chi fa e agisce è sempre la Parola.
Il soggetto che opera è la Parola e non la Chiesa come invece siamo soliti pensare noi. La Chiesa è germinazione, frutto della Parola. Per questo la prima preoccupazione della comunità cristiana è quella di essere obbedienti a questa Parola, di riceverla e di accoglierla.
A noi sarebbe sembrato più logico che fosse preoccupata del come proclamarla, del come testimoniarla, ecc. Invece è proprio da questa disponibilità alla Parola che la Chiesa nasce, si forma, si organizza, si espande e prende coscienza di sè.

2) La seconda convinzione, altrettanto fondamentale, che risalta nella vita della prima comunità cristiana è che la Parola è dono dello Spirito di Dio. È lo Spirito che diffonde e dona agli uomini la Parola (Atti 2, 4; 10, 44-46; 13, 4; 19, 6…) che viene poi annunciata e proclamata dando inizio alla Chiesa.
Se questa Parola è frutto di un dono, l’uomo, di fronte ad essa ha e deve avere soprattutto un atteggiamento di disponibilità, di ricezione, di povertà, di implorazione: tutto questo è ciò che noi comunemente chiamiamo preghiera. Ecco perché la preghiera appare come l’atteggiamento costante e fondamentale per la costruzione della comunità. È un atteggiamento irrinunciabile proprio perché legato alla vita stessa della comunità, al suo farsi, al suo costruirsi e al suo strutturarsi. Tutti coloro che collaborano attivamente a formare questa comunità sono innanzitutto dediti alla preghiera.

3) Preghiera e vita, preghiera e azione, preghiera ed efficienza sono quindi strettamente congiunte nella consapevolezza che in essa si trova la chiave per tutto il resto.
Nella preghiera infatti viene sottolineato quell’elemento di inefficienza, di improduttività, di inutilità e di passività dell’uomo che permette allo Spirito di agire attraverso la Parola. È questo atteggiamento di umiltà che manifesta in modo più evidente l’azione di Dio: da questo atteggiamento nascono frutti di amore e di servizio così ampiamente documentati nella prima comunità cristiana.
La sua prima preoccupazione non era quella di trasformare la vita o le strutture, ma quella di rivolgersi a Dio con il peso della propria incapacità: in questo modo la Parola trasformava la vita di ciascun credente e operava alla costruzione di un mondo nuovo.
Solo chi crede veramente nell’efficacia dell’azione di Dio è in grado di vivere così: non è certo facile credere a questa azione spesso lenta e invisibile. È più semplice fidarsi delle proprie capacità, delle proprie iniziative, delle proprie strutture, ma è indispensabile e più vero fidarsi di Dio, anche se spesso può essere più duro.
Infatti dove c’è l’uomo e la comunità che prega la Parola produce frutti abbondanti e duraturi: lì ci si apre alle esigenze dell’amore e del servizio, lì crescono e si moltiplicano le iniziative, risposte concrete e feconde ad una esigenza di impegno, di testimonianza e di annuncio. Dove l’uomo o la comunità non vive e non crede seriamente a questo mistero della preghiera, tutto si inaridisce e le difficoltà crescono a dismisura.

SI È FATTA CARNE…

1) Nell’accoglienza e nell’ascolto si manifesta e agisce la Parola, dono dello Spirito.
Questa presenza operante tende a incarnarsi sempre più nella realtà umana, nella misura in cui l’uomo si apre con serena duttilità alla sua azione. In Maria, umile serva, questa disponibilità raggiunge il suo vertice: infatti la Parola prende carne in lei per opera dello Spirito Santo. « Lo Spirito Santo verrà su di te e la potenza dell’Altissimo stenderà la sua ombra su di te » (Le 1, 35).
Cristo è il frutto di questa cooperazione tra la potenza di Dio e la povertà ed è il Sacramento (segno) di questa azione che salva l’uomo dalla sua debolezza e dalla sua caducità. Questo prendere carne continua, in Cristo, nella storia umana con ogni persona che si rende aperta e disponibile ad accogliere lo Spirito.
Pregare, quindi, significa realizzare in continuazione il mistero della Incarnazione, significa dare carne alla Parola perché possa realizzare nella storia il Regno di Dio.

2) La preghiera realizza innanzitutto una profonda intimità con Dio, autore della salvezza: è infatti partecipare, con la nostra carne, al mistero trinitario, è innestarsi concretamente in quel rapporto di amore infinito che costituisce la Trinità personale dell’unico Dio. Pregare significa abbandonarsi all’azione dello Spirito che, incarnando la Parola, apre ad un rapporto filiale con il Padre: è riconoscere la propria nullità per superare e uscire dalla presunzione di saper fare e costruire un mondo nuovo.

Nella preghiera l’uomo si fa strumento e sacramento dello Spirito perché si manifesti nella storia l’amore di Dio, che solo può portarla al suo compimento. Pregare è qualcosa di più che un semplice esercizio intellettuale: è fare quell’esperienza di Dio che mi permette di « conoscere » Lui nel suo mistero. Non è un sapere qualcosa su Dio o un semplice parlare con Dio ma è un rapporto continuo, totale, intimo e profondo con Lui tanto da essere inserito, a pieno titolo, nella comunità trinitaria. È quindi un dono che, se anche esige la mia cooperazione, è sempre gratuito e immeritato, grande e insperato ed è fonte di pace, di gioia e di serenità.

3) Ma la preghiera è veramente tale quando si assume nella sua totalità e nelle sue conseguenze, l’essere carne.
La sottile tentazione di vederla solo come attività spirituale della nostra esistenza ci fa dimenticare che la sua forza e la sua efficacia dipendono proprio dal mettere a disposizione dello Spirito la nostra povertà e la nostra debolezza, cioè il nostro essere carne.
Povertà e debolezza che si manifestano nell’avere un corpo che ci limita, nella necessità di un lavoro per vivere, nel bisogno continuo che ci fa dipendere dall’altro, nella fatica che ci prostra, nella sofferenza che ci umilia, nella morte che ci stronca, ecc… Ogni espressione del nostro essere carne può e deve essere l’elemento storico concreto su cui si stende l’ombra dell’Altissimo perché questa carne prenda vita e diventi strumento di vita. Non ha quindi nessun senso parlare di una separazione tra vita e preghiera: avviene solo quando l’uomo crede di poter pregare con le sue capacità, disincarnando questa dimensione dalla sua vita.
Questa distinzione è frutto di orgoglio e di superbia e riduce la preghiera a qualcosa di insignificante e di inconcludente.

E ABITÒ FRA NOI

1) In Cristo, la Parola inizia la sua presenza incarnata nella storia umana: presenza che non si limita alla sua vita terrena ma che continua ininterrotta nella Chiesa.
È questa una presenza misteriosa e reale « dove due o più sono riuniti nel mio Nome ».
Cristo lega la sua presenza a questo fatto concreto: è quindi l’essere Chiesa adunata la condizione per realizzare oggi, con pienezza, il mistero della Incarnazione e per aprire all’azione della Parola, dono dello Spirito, la realtà umana. Tutto questo significa che per la singola persona l’apertura e la disponibilità alla Parola si manifesta nelle sue volontà di essere e di fare Chiesa: infatti per fare Chiesa l’uomo deve uscire dal suo io per mettersi in rapporto stabile con l’altro. È un gesto di povertà, è un riconoscere una dipendenza, è un realizzare una appartenenza che ti tende « carne » della Parola e ti immerge direttamente nel mistero trinitario. Occorre tenere presente inoltre che la Chiesa, proprio nel suo aspetto umano, nei suoi limiti e nelle sue miserie, nella sua povertà e nei suoi errori è il veicolo di questa continua incarnazione di Cristo nel tempo e nello spazio.

2) Da quanto si è affermato si comprende come la preghiera sia intimamente legata, per essere vera, alla vita della Chiesa. La preghiera del cristiano assume così un valore e un aspetto diverso: non è un semplice uomo che tenta di dare la scalata a Dio, ma è colui che offre la sua povertà perché diventi, nella Chiesa, la « carne » stessa della Parola. Partecipa così del mistero di Cristo, delle sue prerogative e della sua vita, compreso il fatto di essere in un atteggiamento perenne di adorazione e di lode al Padre. La sua preghiera non è semplicemente manifestazione del suo io e dei suoi sentimenti, ma fattore indispensabile perché la preghiera salvifica di Cristo continui ad essere nel mondo strumento per il Regno.
La sua voce umana, i suoi gesti, i suoi pensieri, i suoi sentimenti devono essere espressione di quelli di Cristo, si devono conformare sempre di più a Lui per essere trasparenza vitale. Questo fatto esige una azione costante di ascesi (fatica continua per conformarsi a Cristo e per essere pronti) che coinvolga ogni aspetto e ogni momento della sua vita.

3) La preghiera della Chiesa attinge la sua ispirazione da Cristo stesso e dai Suoi sentimenti: per questo la sua preghiera è fondata sulla Parola, guidata dalla Parola e animata dalla Parola. Diventa così anche uno strumento che educa il fedele a un rapporto sempre più vero e profondo con Cristo. Il singolo cristiano non può prescindere da questo modo di pregare: è il suo metodo, il suo stile, se vuol camminare verso una piena maturazione del suo essere stesso. In questo metodo infatti si manifesta la maternità della Chiesa che educa i suoi fedeli. Proprio per questa azione educativa il fedele non deve abbandonare la preghiera quando non riesce immediatamente a conformare i suoi sentimenti con quelli di Cristo. La sua preoccupazione non deve essere quella dei propri pensieri ma quella di mettersi a disposizione della Parola anche in questa povertà.
Si scopre allora che questa fatica è un dono per un cammino più vero, è un mettere a disposizione della Parola la propria incapacità ed è fare spazio all’azione dello Spirito. Se queste considerazioni sono valide per la preghiera vocale (es. liturgia delle Ore), lo sono anche per i Sacramenti: sono infatti i gesti salvifici di Cristo nella Chiesa che si fanno preghiera proprio perché ci invitano a riconoscere la nostra dipendenza e la nostra povertà.

E NOI.

1)    Nella preghiera l’iniziativa appartiene a Dio che, per mezzo dello Spirito, conduce l’uomo a una più intima unione con Lui. Egli la inizia e ne sostiene la crescita che si realizza in tempi e modi diversi verso la comunione perenne e stabile.
In questo cammino l’uomo è sostenuto da tutti quei doni che Dio fa trovare abbondantemente sulla sua strada al momento opportuno: doni di pace e di consolazione, doni di amore e di gioia, frutti dello Spirito, primo dono ai credenti. La tentazione su cui si può facilmente cadere è quella di fare di questi doni degli idoli, dimenticando Dio. Chi si lascia trascinare in questa direzione non fa dipendere la sua vita e la sua preghiera da Dio, ma dai propri sentimenti: per questo, quando vengono a mancare questi doni non sono più in grado di pregare.
Viene infatti a mancare quella libertà che permette alla Parola di svolgere la sua azione fecondante e ci si perde in una schiavitù che cerca con ansia le piccole soddisfazioni immediate.
Occorre invece lasciarsi condurre da Dio verso una sempre maggiore recettività che, liberandoci e purificandoci, apre la strada alla contemplazione e all’esperienza del Divino.

2)    Questo cammino verso una esperienza sempre più qualificante di Dio segue una direzione che l’uomo non è sempre in grado di comprendere. È la direzione che gli imprime la fantasia creatrice di Dio nel rispetto della libertà e autonomia umana.
La delicatezza di Dio nel guidare su questa strada è veramente infinita e meravigliosa: la Scrittura ce ne offre esempi mirabili.
Lo Spirito non cessa mai di meravigliare con la sovrabbondanza dei Suoi doni: accanto a momenti straordinari (es. settimana estiva, ritiri, esperienze particolarmente significative…), che ci fanno nuove creature ci sono quelli ordinari che ci fortificano nella fedeltà.
Non mancano i momenti difficili: sono la « notte dello spirito » in cui Dio è presente e agisce con la sua feconda creatività. Il senso di solitudine e di lontananza da Dio, l’aridità e la fatica, l’appiattimento e l’apatia, la malattia o il fallimento, la delusione o il contrasto sono « occasioni » per fare crescere nella sua intimità chi lo ricerca e non tenta di evadere dal suo abbraccio di amore.
Sono doni di purificazione che possono durare anche molto a lungo e che si superano non con lo scalpitare o con l’attaccarsi a vuoti surrogati ma facendo continua memoria della sua iniziativa che vuole amarci nel silenzio e nella sofferenza.

3) È importante prendere coscienza di questa pedagogia di purificazione se non si vuole restare sempre sulla linea di partenza con il rischio di sprofondare.
Il non rendersene conto infatti allontana sempre più dall’amore di Dio e genera quelle situazioni di crisi in cui, affidandosi unicamente alle proprie forze e alle proprie armi, si tocca con mano l’impossibilità di giungere alla felicità.
In queste situazioni viene a mancare quel rapporto di confidenza e di abbandono che è la condizione essenziale perché la Parola si faccia nostra carne e porti i suoi frutti.
Come il seme non può attecchire se non trova il terreno preparato, così la Parola rimane inoperante se manca questa disponibilità.
Ci si accorge allora come non sia facile realizzare in noi questa apertura, specialmente in quelle situazioni: non è un semplice atteggiamento passivo ma una lotta e una fatica, spesso lacerante e dolorosa, che si schiera contro i nostri limiti e contro il nostro peccato.
L’ostacolo dell’egoismo e del peccato « che circola nelle nostre membra » (Rom 7, 23) impegna tutte le nostre forze e le nostre risorse per essere superato.
Ancora una volta si scopre in modo evidente come la nostra preghiera sia legata a tutta la nostra vita, al nostro impegno di santità, al nostro essere sempre e in ogni situazione alla ricerca di Dio e al servizio del Suo Regno.

…ABBIAMO CONTEMPLATO LA SUA GLORIA

1) Il problema del rapporto preghiera-vita, preghiera-servizio, preghiera-carità si rivela, alla luce di quanto abbiamo meditato, posto normalmente in modo falso: non sono due poli tra loro irriducibili ma elementi che si compenetrano vivificandosi a vicenda.
Una preghiera distaccata dalla concretezza del proprio servizio di carità si riduce ad essere solo evasione alienante costruita su illusioni e formalismi: nello stesso modo, mutilato alla sua fonte, si riduce ad un attivismo senza valori che nasconde un egoismo in cui l’uomo tenta di ritornare ad essere il primo protagonista.
In ognuna di queste due opposte soluzioni non si partecipa più alla costruzione del Regno; si rischia anzi di cercare numerosi ostacoli e impedimenti.
Il  giusto rapporto tra preghiera e servizio deve essere concretizzato, per i nostri limiti, in momenti distinti e successivi ma che non sono tra loro separati: a causa della nostra tendenza a privilegiare, fino al punto di dimenticare, i momenti di impegno e di servizio (propensione accentuata oggi dalla mentalità efficientista) occorre avere un’attenzione particolare ai momenti da dedicare alla preghiera.
Dobbiamo garantirceli con coraggio per poterci mantenere, anche con fatiche e rinunce, fedeli ad ogni costo a questo rapporto essenziale e vitale.

2) Lo stretto legame tra vita e preghiera non deve però farci cadere nella tentazione di ricondurre la preghiera alla logica dell’efficienza. Compresi della necessità della preghiera vi dedichiamo tempo e spazio ma in funzione della nostra attività: si ricade così nello stesso errore che si vorrebbe evitare. Non dobbiamo dimenticare che la preghiera stessa è vita, anzi è la vita: infatti vivere è riconoscere in modo libero e cosciente, il proprio rapporto con Dio, da cui dipende ogni cosa. È lo stile e l’intensità della nostra vita che si manifesta nella preghiera: il superficiale non prega proprio perché la sua vita è senza senso e vuota. Chi non ha ancora interiorizzato questo rapporto e vive cercando di fare bene ma in modo moralistico (come coloro che vivono di attivismo, ecc.) prega solo sotto la spinta delle abitudini o delle consuetudini del proprio ambiente: ha sempre bisogno di tante parole per intuire, spesso senza risultati, i propri sentimenti.
Basta cambiare ambiente, amicizie ecc. e tutto cade nel nulla.
Solo chi ha fatto del proprio rapporto con Dio il fondamento della sua vita, lo prega continuamente senza distrarsi, senza tante parole anche se rimane a lungo in preghiera.
Per lui, essere in Chiesa o al lavoro, essere sostenuti da una comunità o essere soli e combattuti, essere immersi nei problemi o essere sereni, non modifica il suo rapporto con Dio: è infatti un rapporto fondato nel cuore e alimentato dall’amore ed è un rapporto che lo fa dimorare continuamente in Dio.

3) Infatti la preghiera conduce a Dio stesso, a « contemplare la Sua gloria » in quanto è Dio la vita dell’uomo.
In questo cammino, lungo e faticoso, verso la contemplazione molto spesso ci si ferma, dopo i primi entusiasmi, alle prime difficoltà: i tentativi di riprendere diventano poi motivo di ulteriore scoraggiamento che ritarda sempre più il raggiungimento della meta.
Pecchiamo di impazienza e dimentichiamo di adattare il nostro passo al ritmo dei tempi e dei modi di Dio: ciò che fa progredire non è la nostra fretta, guidata dal nostro desiderio, ma l’affidarsi a Dio, con pazienza ed umiltà, senza cadere nella passività o nel quietismo. Occorre credere veramente che l’azione di Dio e i Suoi « ritardi » fanno parte di una pedagogia di amore: allora, anche quando questa sua azione è oscura e nascosta, ci si lascia guidare con la consapevolezza di chi è cosciente che l’efficacia di questa azione non dipende da ciò che l’uomo riesce a capire, ma dalla trascendenza di Dio, che supera il nostro piccolo mondo. Proprio questa oscurità mi fa certo che Dio sta intessendo con pazienza e amore il suo ordito nel rispetto della mia concreta e libera umanità. Solo così possono cadere le illusioni e i progetti umani per far posto nella realtà al Suo progetto: il Regno»

LA VITE E I TRALCI

Il segreto di un cammino di preghiera, che non vuole accontentarsi della formalità, ma che vuole essere vita sta nella docilità all’azione dello Spirito.
Non ci sono quindi ricette pronte, adatte a tutti e per tutte le situazioni: ci può essere solo un invito dolce e pressante ad aprire il cuore con amore perché Dio lo raggiunga nella sua intimità e nel suo centro; il resto ci sarà dato a sua tempo e a suo luogo e nella misura della misericordia di Dio.
Ciò che conta è immettersi in questo cammino con costanza e fedeltà, con regolarità e continuità: importante è non lasciarsi prendere e dominare dalla mentalità efficientista e atea del nostro tempo, ma più importante è credere veramente e seriamente abbandonarsi nelle mani di Colui che tutto vede e tutto può, senza paure e senza difese.
A queste condizioni l’esercizio della preghiera sarà veramente uno strumento privilegiato per rimanere in Cristo.
« Chi rimane in me e io in lui fa molto frutto, perché senza di me non potete fare nulla ». (Gv 15, 5).
Noi apparteniamo alla vite che è Cristo: ne siamo i tralci. Cristo è il nostro tutto, la nostra vita, perché anche i tralci e non solo il tronco sono parte della vite: facciamo parte di Cristo e ne dipendiamo totalmente (Gv 15, 1-9).

Letture per la Messa

1)    La Parola: Dt 6, 4-9; Le 10, 38-42.
2)    Si è fatta carne: Gv 12, 24-28; Col 3, 16-17.
3)    E abitò fra noi: Rom 8, 9-11; Gv 14, 15-20.
4)    E noi: Rom 8, 26-27; Gv 21, 18.
5)    Abbiamo contemplato la sua gloria: Le 12, 22-31; Ct 3, 1-4.

Per la riflessione La Parola

— Ripercorrere le tappe della vita della prima comunità cristiana aiuta a capire l’importanza della preghiera:
At 1, 6-14. Il compito di essere testimoni lo realizzano innanzi tutto con la preghiera.
1,    20-26. La scelta di un apostolo assieme nella preghiera.
2,    1-4. La nascita della Chiesa è nella preghiera.
4, 23-31. Le persecuzioni sono superate nella preghiera.
6, 1-7. La scelta per la preghiera fa nascere i diaconi. 10. L’apertura ai pagani avviene nella preghiera.

—    La prima comunità prega continuamente (At 2, 35; 3, 1-6; 7; 8, 15-17; 9. 40; 10, 9…28, 8). Realizzano così l’insegnamento di Cristo di pregare sempre (Le 18, 1-14) e ne seguono l’esempio (Le 3, 21; 5, 16; 6, 12-13; 9, 28-29; 10, 21; 22, 41-44…).

Si è fatta carne

—    La preghiera di Zaccaria (Le 1, 67-79) e quella di Maria (Le 1, 46-55) sono esempi concreti di questo farsi carne della Parola. Anche le preghiere dell’Ave Maria e della Salve Regina sono contemplazione di questo mistero: in Maria, umile serva, si incarna la Parola. Per questo è beata e può intercedere per noi.
—    In Cristo la preghiera è la manifestazione della sua vita di comunione nel mistero trinitario. Nelle sue preghiere infatti esprime quei sentimenti di lode, di ringraziamento, di adorazione e di domanda che hanno caratterizzato la sua vita di Parola incarnata. Medita soprattutto sulla preghiera di Gv 17 (confrontala con il Padre nostro e ne riscopri i filoni essenziali). Cf. anche Mt 11, 25-26; Me 14, 36; Le 23, 34; Me 15, 34; Le 23, 46.

E abitò fra noi

—    Prega con un salmo aiutandoti con l’antifona e con l’introduzione del libretto delle ore a farti « carne » di Cristo nella Chiesa. Medita il Padre Nostro alla luce di questo stile di preghiera (Padre-nome-Regno nella nostra debolezza quotidiana).
—    La meditazione di Gv 6 (discorso sul pane di vita) ti può aiutare per entrare nella logica dell’Incarnazione, scoprendone i valori e le difficoltà.
—    Ogni preghiera della Chiesa (es. Gloria, Kyrie, Credo, ecc.) deve essere accostata con questo metodo e con questa mentalità. Nessuno può veramente pregare se non lascia spazio all’azione dello Spirito (1 Cor 12, 3; 1 Cor 14, 15; Rom 8, 9-15) e se non lo fa nel nome di Gesù (Gv 14, 13; 16, 23-24).

E noi…

—    Cristo chiede di aprirgli la porta (Ap 3, 20) e di accogliere il suo invito (Le 14, 16-24) senza falsità (Is 1, 10-20; Giosuè 7, 61-5; Michea 6, 6-8; Le 18, 9-14).
—    La preghiera è vigilanza (Mt 25, 1-13; Me 13, 33-37) Dio arriva quando uno non se lo aspetta (Mt 24, 43-50; 1 Tess 5, 2-6). Nel silenzio e nel segreto (Mt 6, 5-15) la preghiera si fa efficace (Le 11, 1-13; Gv 11,    41-42).

…abbiamo contemplato

—    Mosè sul Sinai (Es 19; 24, 12-18; 33, 12-29…) e i discepoli sul Tabor (Me 9, 1-8) contemplano la gloria di Dio e ritornano trasfigurati.

—    Conoscere Dio vuol dire avere il suo Spirito nei rapporti con gli altri (1 Gv 4, 7-8; Os 4, 1; 6, 6; Is 57, 58; Mt 25, 1 ss; 1 Gv 4, 21). I suoi ritardi sono pedagogia di amore (2 Pt 3, 8-9; Gen 18; Is 38; 2 Cor 12,    7-9).

LECTIO DIVINA

1) La innegabile riscoperta della Parola di Dio rischia molte volte di rimanere disincarnata e infeconda: capita tutte le volte che la si accosta solo come oggetto di conoscenza (studio, esegesi, ecc.) o come riferimento dotto e alla moda. Anche nella preghiera molto spesso si risente di questa forma: si prega con la Parola ma non si prega la Parola. In questo modo rimane qualcosa di aggiunto e di esteriore, che non penetra nel profondo della vita. Deve invece toccare la nostra vita in modo da permearla completamente: ogni attività, ogni aspetto e ogni facoltà vi deve essere interessata e coinvolta in modo da diventare la nostra mentalità. Non può essere limitata la sua incidenza ad un aspetto, ma deve essere estesa a tutta la persona. Il metodo della « lectio divina » (lettura nello Spirito della Parola), di origine monastica-occidentale, è sicuramente un valido aiuto per riscoprire il profondo legame che deve esistere tra la Parola e tutta la vita di un cristiano.
Questo è il senso, anche, di ogni « Celebrazione della Parola ».

2) Il punto di partenza è costituito dalla consapevolezza di volersi affidare all’azione dello Spirito: è un atteggiamento di fede che ti pone nella condizione di accostare la Scrittura non come un qualsiasi altro libro, ma come l’incontro con una Persona vivente che ti comunica il suo amore.
Con questa disposizione di fede e di umiltà il cammino della lectio divina si svolge attraverso queste tappe fondamentali:

—    INVOCAZIONE DELLO SPIRITO, perché riveli il volto di Dio e apra il cuore a questo incontro.
—    LETTURA. È il momento dell’ascolto, arricchito anche da una preparazione specifica, che deve essere svolta con attenzione e calma in modo che il testo si imprima nel cuore.
—    PREGHIERA. È la risposta dell’uomo in cui gioca tutta la sua personalità in un rapporto di dipendenza totale all’azione dello Spirito.
—    CONTEMPLAZIONE. L’uomo, per dono dello Spirito, entra in rapporto con la Persona Divina: tutto si semplifica e si sintetizza in questa intimità di amore.
—    TESTIMONIANZA. Trasformato e rinnovato da questo rapporto la sua vita cambia e la sua azione diventa coerente. È la vita di Dio che si incarna nella concretezza della storia umana.

PREGARE CON IL CORPO

1 ) In ogni dialogo di amore la persona coinvolge tutta se stessa in una tensione profonda e totale verso l’altro.
Per arrivare a gustare profondamente questo rapporto, ha bisogno di una preparazione ambientale, fisica e psicologica che favorisca quella intimità e quella unione che dovrebbero esserne la meta.
Però ogni persona ha i suoi modi e i suoi tempi che convergono in una azione di azzeramento per essere totalmente disponibile all’altro. Queste leggi dell’amore valgono a maggior ragione per la preghiera e risultano indispensabili per la difficoltà ad aprire un dialogo con un Essere presente ma invisibile. Quando si dimenticano la preghiera diventa un peso e si svuota del suo significato: ogni distrazione infatti impedisce di andare al cuore e, fermandosi ad un’aspetto secondario, ti fa sentire estraneo e lontano.
È una preparazione che parte dalla scelta di voler pregare e chiede aiuto a Dio per poterlo fare avvalendosi del silenzio, esteriore ed interiore; coinvolge così lo spirito e il corpo in una serena e totale ricerca di concentrazione in Dio.
È un processo di liberazione che, rendendoti povero, ti apre la possibilità di fare un’esperienza di Dio, veramente tonificante e rinnovatrice.

2) Ih coinvolgimento di tutta la persona deve poi continuare per tutto il tempo della preghiera.
Molte volte invece si pecca di angelismo e di intellettualismo perché si riduce solo a qualche aspetto del nostro essere.
Trascuriamo spesso il corpo, dimenticando che il pregare è dare carne alla Parola.
Non è indifferente stare in ginocchio, in piedi o seduti, essere sdraiati o composti, fare un gesto piuttosto che un altro: se viene a mancare una certa corrispondenza tra l’interno e l’esterno la preghiera rimane mutilata e falsa.
Ogni gesto (respirare, camminare, lavorare, mangiare, …), ogni espressione (canto, danza, …) e ogni parte (mani, testa, cuore, occhi, …) del nostro corpo deve e può essere coinvolta in questo rapporto con Dio, per esprimerlo e sostenerlo da uomini. Nella misura in cui tutto questo, attraverso un esercizio e un’attenzione continua, siamo in grado di farlo diventare sempre più manifestazione e strumento per il nostro rapporto con Dio, la nostra vita si trasforma tutta in una preghiera. La Parola si fa veramente carne e ci dona quella fecondità che rende il nostro servizio al Regno veramente efficace e valido.

PREGHIERA COMUNITARIA

1) La preghiera in comune è un continuo esercizio di povertà che educa ad essere a totale disposizione del Cristo vivente. Questa sua opera educativa non influisce solo sul rapporto con Dio, ma raggiunge anche il rapporto con gli altri-: contribuisce infatti, in modo insostituibile all’edificazione concreta della comunità per la sua azione di superamento di ogni forma di personalismo e di egoismo.
Crea il clima e l’ambiente adatto per la crescita nella fede: è come l’aria, indispensabile per la vita.
Le tappe di quest’educazione sono assimilate dal singolo con tempi e modi personali: si passa dalla semplice accettazione del momento della preghiera, fissato dalla comunità, alla partecipazione intensa degli stessi sentimenti di Cristo; dall’adattarsi ai ritmi imposti dalla presenza di altri all’uniformare i propri pensieri e i propri desideri a quelli proposti, ecc…
Man mano che questo cammino prosegue, con la maturazione del rapporto con Dio, cresce anche quello della comunità e si sviluppa al suo interno una creatività, dono dello Spirito, che si manifesta nella preghiera stessa e nella vita.
La preghiera comunitaria educa anche al senso profondo della storia e del tempo: i suoi ritmi (anno liturgico, liturgia delle ore, Eucarestia e Sacramenti) fanno vivere gli eventi della storia umana come luogo qualificato per incontrare Dio.
All’uomo dominatore e fautore del suo destino si contrappone concretamente la riscoperta continua dell’azione dello Spirito: l’uomo impara a rendere grazie a Cristo, che, con la Sua morte-risurrezione, è il lievito e il fermento che guida il cammino di tutto il genere umano verso il Regno.
L’Eucarestia (= rendere grazie) celebra nell’assemblea questo dono e ne fa « memoria » attiva: la liturgia delle ore ne estende le speranze e i significati nell’arco della giornata (notte, mattino, mezzogiorno, sera): i sacramenti e l’anno liturgico ritmano le stagioni della vita del singolo e della comunità: la Riconciliazione rimette l’uomo in sintonia ogni qualvolta dimentica questa dipendenza.
Perché tutto questo diventi veramente respiro del nostro essere in cammino verso il Padre occorre un lungo e serio lavoro personale di approfondimento, di studio e di meditazione: questo sforzo nulla toglie al fatto che pregare sia dono delle Spirito, ma fa evitare lo scoglio di uno spontaneismo facile e illusorio che non permette al seme, che ci è donato, di attecchire e portare frutto.

PREGHIERA PERSONALE

1) La preghiera deve portare all’incontro sponsale, intimo e personale con Dio: accanto alla preghiera comunitaria occorrono anche momenti personali di ricerca di Dio.
La preghiera personale, oltre che strumento diretto del tuo incontro, è anche sostegno indispensabile a quella comunitaria. Per questo chi non dedica un certo spazio quotidiano a questo aspetto non riesce neanche a mantenersi fedele a quella comunitaria.
Le forme e i metodi di questa preghiera sono i più svariati ma devono tendere tutti a mettere in comunicazione il cuore dell’uomo con Dio: vi trovano spazio, in modo preminente, la fantasia e la creatività della singola persona che, nella docilità dello Spirito, ha la possibilità di cercare e di fare crescere continuamente questo rapporto di amore. Più che le tecniche o i libri è preferibile con il proprio impegno, la guida diretta di una persona matura nella fede e in grado di offrirci un aiuto concreto, graduale e proficuo.
È in questa ricerca personale che matura veramente quella intimità con Dio necessaria ad una vita cristiana adulta e profonda, capace di passare attraverso le traversie di questo mondo senza cedere alle sue tentazioni e arricchendosi della forza di Dio che lo trasforma.

2) Questa ricerca è il senso di quello che noi chiamiamo meditazione.
Molto spesso si dimentica dove deve portare e allora diventa un puro esercizio intellettuale. Occorre invece richiamarlo all’inizio di ogni meditazione chiedendo l’aiuto dello Spirito: solo così l’ascolto e la lettura possono portare in noi una risposta e una decisione che ci fa progredire nel cammino di fede.
Neppure ci si deve scoraggiare se i frutti della conversione non sono immediati: è un lavoro a lungo termine in cui ha una sua importanza il testo su cui meditare (libro, avvenimento, giornale, Parola…) il tempo che vi si dedica (da un quarto d’ora a mezz’ora) e il luogo dove si medita (Chiesa, camera, ambiente naturale…).
La meditazione ha come sbocco naturale la contemplazione di Dio così come Egli è, senza più bisogno di tante parole o di tante cose.
La tradizione cristiana conosce vari metodi per aiutare il principiante in questo cammino verso la contemplazione (es. la preghiera di Gesù di origine orientale): questi metodi sono come binari su cui deve scorrere la nostra vita trainata dalla forza dello Spirito.
Sono però solo dei metodi per facilitare questa azione che rimane sempre opera e dono di Dio.

FORME DI PREGHIERA

I vari elementi che danno vita alla preghiera, combinandosi diversamente e a secondo delle esigenze, hanno contribuito nei secoli a far nascere delle forme di preghiera che, consolidatesi, sono giunte fino a noi.
Oltre a quelle ricordate ci soffermiamo su alcune altre.

1) ADORAZIONE EUCARISTICA
È riconoscere che la salvezza dipende dalla presenza di Cristo nel mondo. Adorare (= riconoscere la dipendenza) il Corpo di Cristo significa immettersi nel suo stile di vita: quello della donazione fino ai limiti estremi.
Per questo prolunga nel tempo il senso della celebrazione eucaristica (può essere un modo per prepararsi meglio o per ringraziare) e ne diventa sostegno e garanzia.
L’adorazione può svolgersi in tanti modi: meditando, recitando il Rosario, riflettendo sulla Messa del giorno, contemplando l’Ostia consacrata con preghiere spontanee, personali o di gruppo, prolungandola per un’ora o semplicemente facendo una breve visita…
Spesso richiede coraggio e sacrificio per interrompere le nostre occupazioni e mettersi in ginocchio di fronte a Cristo, soprattutto quando i frutti non sono così immediati e sensibili: di certo però ci educa a riconoscere la sovranità di Dio e ad abbandonarci come offerta viva nelle Sue mani.

2) S. ROSARIO
È una forma di preghiera ritmica (ripetizione delle stesse forme) per favorire la contemplazione del nome di Gesù e del Suo mistero.
Il ritmo aiuta a sostenere l’attenzione che, più che alla comprensione, deve essere tesa a incarnare il mistero di Cristo in noi, riproposto nei suoi vari aspetti ad ogni decina (può essere ripreso con una breve frase inserita nell’Ave dopo il nome di Gesù).
In questo impegno Maria è colei che lo favorisce e che lo guida in un dialogo vivo e penetrante: la gioia da lei provata nella Incarnazione ci viene così trasmessa nella stessa misura e con la stessa forza.
Per questo il Rosario va recitato con calma e pacatezza, perché possa veramente incarnarsi nella nostra vita il Cristo, autore della pace e della gioia.
Può essere recitato facilmente e dovunque disseminandolo lungo tutto l’arco della giornata: può essere detto singolarmente o in comune (specialmente in famiglia). Nella sua struttura richiama la liturgia delle ore e può essere, in molte occasioni, un valido sostegno per rimanere nella contemplazione di Dio in tanti momenti, specialmente in quelli più difficili della giornata e della vita (tentazioni, sofferenze, morte di una persona cara…).

3) VIA CRUCIS
È la contemplazione della sequela: l’orante viene coinvolto, anche con il suo corpo, in questo cammino con Gesù verso il Calvario. Adora il mistero del disegno divino così difficile da comprendere e soprattutto da realizzare in noi.
È un affidarsi totalmente a Cristo che invita a seguirlo e ad essere là dove Lui si trova, almeno con il cuore e con il desiderio.
Lungo l’itinerario che porta alla croce sei in grado di entrare nel profondo del messaggio evangelico in modo da liberarti da ogni legame col mondo per fare quelle scelte di vita che Cristo ha fatto: partecipi così, con la tua vita, al momento cruciale della Sua esistenza e ti fai carico della Sua croce (con tutto quello che significa).
È un’esperienza di vita veramente evangelica e che porta alla conversione.
Le stazioni tradizionali sono momenti e mezzi per interiorizzare questo cammino: si possono usare altri schemi ad es. i quattro racconti evangelici della Passione) per aiutarci ad entrare meglio nel mistero del Regno, che ha una sua logica e una sua dinamica, totalmente diversa da quella del mondo.

LIBRI UTILI PER IMPARARE A PREGARE

R. Faricy: « Colui che prega »,Àncora.
B. Bro: « Cerchiamo colui che ci cerca », Gribaudi.
Anonimo: « Nube dell’inconoscibile », Àncora.
Martini: « La dimensione contemplativa della vita ».
Az. Cattolica: « Tu sei con me ».
Az. Cattolica: « Nel silenzio ti ascolto ».
Az. Cattolica: « La preghiera nel tempo » (Liturgia delle ore).
Caritene di Vaiamo: « L’arte della preghiera », Gribaudi.
Y. Borst: « Metodo semplice di preghiera contemplativa », EDB.
A. Von Speyr: « Esperienza di preghiere », Jaca Book.
Magrassi: « Bibbia e preghiera », Àncora.
Baroffio: « Lectio divina e vita religiosa », LDC.
Raccolte varie di preghiere (Quoist, ecc.) e commenti ai salmi.

Lascia un commento