5. Le Beatitudini

(IV superiore)

…E Gesù cominciò ad istruirli con queste parole:
BEATI VOI…

BEATI

1) La nostra esistenza sta entrando in pieno contatto con la realtà di questo mondo: ci troviamo soli ad affrontare il cammino e spesso ci sentiamo smarriti e indecisi.
Negli anni fino ad ora trascorsi abbiamo creduto vero ciò che abbiamo sognato: ora il risveglio potrebbe essere tragico e deludente.
Ci scontriamo con situazioni che ci confondono e scopriamo che sotto le belle parole si nascondono spesso interessi meschini.
Si parla di amore, di pace, di libertà, di democrazia e si agisce sotto la spinta della competizione, della sopraffazione e della legge del più forte: ognuno si difende a denti stretti e schiaccia l’altro per farsi strada.
Questo triste rovescio di ogni medaglia si imprime sempre nei nostri occhi e ci riporta nella situazione di dover ancora cercare una risposta a domande che si pensavano definitivamente risolte.
Siamo ancora nella necessità di dover fare delle scelte di campo: sto dalla parte di chi crede in un mondo diverso e me ne assumo, senza illusioni, il peso e le responsabilità o sto dalla parte di chi crede e pensa a sè, difendendo i suoi diritti e facendo di tutto per averli?

2) Questa scelta oggi è più difficile di ieri: oggi mi accorgo di quanto sia duro inseguire un ideale, di quanto sia limitata la mia persona e la mia azione, di quanto sia faticoso vivere in un mondo dove l’uomo è lupo per l’altro uomo. Si può tentare la strada del compromesso, quella che cerca di mettere a tacere la coscienza e che mi fa vivere un po’ da una parte e un po’ dall’altra.
Ci si può schierare decisamente dalla parte dell’io, dell’individuo e si arriva a giustificare questa scelta anche con motivi umanitari e sociali.
C’è chi dice di scegliere per l’umanità in un impegno sociale e politico: ma per questo schiaccia altri che non la pensano come lui o contrastano la sua marcia.
È una scelta per l’umanità o per alcuni dell’umanità? Alcuni si danno per vinti, rinunciano a capirci qualcosa di questo assurdo che è la vita: arrivano anche al suicidio.
Ma c’è anche la proposta di Cristo, quella dell’amore a tutti i costi, quella che non rifiuta la croce se, per la verità, occorre esserci inchiodato sopra.
Tocca a noi, tocca a te scegliere da che parte stare: ma ora devi scegliere da adulto, cioè con la consapevolezza che ti nasce anche dall’esperienza.

3) Cristo premette alla Sua proposta, presentata dai Vangeli e in modo sintetico nel discorso della montagna, la beatitudine: lo ripete per ben nove volte quel termine « beati » riferendolo a situazioni che il mondo ritiene fonti di sofferenza e segno di fallimento.
Non è una promessa per il futuro, ma una costatazione per il presente che si dilata nel futuro.
« Siamo fatti per la gioia » (P. Claudel) e Cristo ci invita a seguirlo sulla Sua strada per essere sempre nella gioia.
Il Suo è un programma per l’uomo, per la liberazione dell’uomo e per la sua pienezza: solo che la strada che propone va nella direzione opposta a quella della mentalità comune, da qualunque ideologia possa trarre la sua ispirazione.
È la strada della Incarnazione, quella che porta Dio all’uomo e l’uomo a Dio: è la strada del farsi piccolo per essere grande ed è la strada del farsi debole per essere forza capace di costruire nella pazienza un mondo nuovo.

DIO OFFRE A LORO IL SUO REGNO

1 ) Far soldi e successo, essere ricchi e famosi è il binomio legato a quello che viene considerato, in questo mondo, il vertice delle capacità umane.
Si lavora per fare più soldi e ci si arrabatta per avere successo nella carriera: chi non si dà da fare in questo senso e non entra in questa logica è un povero fallito che, nella sua illusione, è da emarginare e da non tenere in considerazione.
Anche Cristo unisce, nella Sua controproposta, questi due aspetti: Beati i poveri… e beati i perseguitati a loro infatti viene concesso in dono il Regno.
Ed è nel dono del Regno che Dio fa oggi che si realizzi quella felicità per cui si è in grado di vivere nella gioia.

2) BEATI I POVERI… La povertà è una dimensione essenziale della vita cristiana (Me 10, 17-25) e che può essere capita solo nella dinamica della Incarnazione (Filip. 2, 5-11).
La povertà non è tanto un problema economico, ma un modo concreto di porsi di fronte a Dio: è libertà dalle cose, dai beni, dalle strutture, ecc.
Non è una virtù da ostentare alla moda dei farisei o una rassegnazione che rende ricchi anche nella miseria.
È la libertà per il Regno che proclama beato il povero e si impegna ad alleviare la povertà.
È quella dimensione creativa dell’uomo che usa di tutto quanto lo circonda solo quanto basta e serve per il Regno: in questo modo l’uomo è libero dalla paura di perdere le cose (usa, non possiede), di non averne a sufficienza o di pensarle indispensabili.
È la strada concreta per affidarsi alla forza del Regno e non alla efficienza dello strumento.
Il cammino della povertà ha tante tappe: dalla coscienza espressa nel donare qualche cosa a quella di condividere tutto con gli altri, dal non avere rimpianti per il passato al non avere ansie per l’avvenire, dalla libertà dalla presunzione alla totale disponibilità alla volontà di Dio, ecc.
Ad ognuno, in ogni situazione, viene chiarito come realizzarla in un cammino sempre più esigente verso il Regno.

3) BEATI I PERSEGUITATI… In questo cammino di povertà si è chiamati anche a quella di essere scandalo per il mondo e quindi perseguitati.
È la povertà di chi cerca la verità in un mondo che cerca di fagocitarti da una parte precostituita e limitante: diventi allora il bersaglio di tutti.
È la povertà di chi non cerca per sè ma per la giustizia e per il Regno: ti prendono per un illuso utopista.
È la povertà di chi non cerca successo in nessun modo: diventi un pazzo da isolare.
È la povertà di chi cerca di amare fino in fondo al cuore: ti accusano di essere debole e di non fare niente.
È la povertà di chi conta solo sulla verità: cercano di farti tacere.
L’esemplificazione potrebbe continuare a lungo: l’importante è cogliere lo stile del discepolo che è uno stile evangelico, destinato ad essere nel mondo, ma non del mondo: e il mondo lo perseguita perché è il solo in grado di scardinarne i principi di egoismo e di orgoglio.
Il mondo si serve della ricchezza e del potere: ma proprio queste sono il segno della sua sconfitta e della sua impotenza di fronte alla verità, che per essere fedele a se stessa, non esita a consegnarsi alla morte in croce per risorgere più viva e luminosa.

DARÒ A LORO LA TERRA

1) La tendenza della nostra società è quella di sottolineare i diritti di ciascuno dimenticando i suoi rapporti di dipendenza. Quest’individualismo esasperato porta alla ricerca di una immediata soddisfazione in ogni campo.
È una mentalità che, infiltrata in ogni piega della vita, fa dimenticare che, accanto alla persona, ci sono altri e che, soprattutto, c’è Dio con cui dobbiamo porci in un atteggiamento di dipendenza e di obbedienza.
Cristo invece, nel « Beati gli afflitti » e nel « Beati i miti » propone alla persona questa dimensione di dipendenza che costruisce la verità nella fatica e nella sofferenza di un cammino lungo e graduale.

2) BEATI GLI AFFLITTI… L’obbedienza è un’altra dimensione fondamentale del cristiano.
Cristo si è fatto obbediente fino alla morte (Filip 2, 8) per portare il dolore del nostro peccato.
È questa la beatitudine di chi non si isola nel suo benessere, ma di chi pronuncia il suo sì alla chiamata di addossarsi gli uni i pesi degli altri.
Rinuncia a quello che il mondo chiama felicità e che ricerca in modo ansioso e immediato separandosi nel suo mondo dorato, ma obbedisce alla legge della convivenza umana in una dipendenza portata alle sue conseguenze estreme.
È un cammino di obbedienza, in cui la sofferenza e il pianto, sono offerti a Dio per la purificazione dei peccati e per la santificazione dell’uomo.
Sono, come per Cristo (Gv 11, 35-36; Le 19, 41) strumento di redenzione e di salvezza.
Non sono segno di morte, ma fonte di vita: « Se il seme di frumento, caduto per terra, non muore… » (Gv 12, 24).
Le lacrime sono segno di fecondità e di amore: sono dono che non rimarrà sicuramente sterile.

3) BEATI I MITI… In questa obbedienza non è chiamato solo a rinunciare a una felicità immediata, ma anche a rinunciare ad ogni diritto proprio in una dipendenza totale. Il mite, proprio per questa dimensione, diventa straniero nella sua terra, non avendo alcun diritto che lo garantisca e lo difenda dai soprusi.
Sembra un impotente e un immaturo, è spesso considerato come un inferiore da trattare come un bambino.
La sua accettazione del quotidiano, dell’altro, della vita, ecc., espressione della sua dipendenza, vissuta nell’umiltà del mendicante che stende la mano per vivere e sa che la sua vita dipende dal sì o dal no dell’altro, ha in sè una forza liberatrice e dirompente.
Evita le inutili battaglie in nome della libertà (mettendosi contro) con il coraggio di chi si affida alle mani del Padre e solo da lui fa dipendere la sua crescita. Il Padre donerà a lui quella terra da cui la violenza deh l’egoismo cercava di sradicarlo.
« Imparate da me, che sono mite ed umile di cuore » (Mt 11, 29).
La mansuetudine è frutto di semplicità e di bontà, è disponibilità alla speranza e all’ottimismo, è segno di vera maturità e di equilibrio.
È un abbandonarsi al Padre perché Lui possa, attraverso la nostra persona, arrivare al cuore di ogni uomo di buona volontà.

AVRÀ MISERICORDIA DI LORO

1) È molto facile servirsi del povero e dell’emarginato per la propria gloria: se il centro di ogni cosa è l’io, individuale o di gruppo, il rischio di questa strumentalizzazione è continuo e incombente.
Solo se il centro è al di fuori e al di sopra, allora ciò che si fa diventa vero aiuto gratuito, perché si è sempre in dipendenza e in servizio.
È questo l’atteggiamento del discepolo, cioè di colui che, nella fede, riconosce in Dio il centro di tutto: è anche il messaggio del « Beati coloro che hanno fame e sete… e… Beati i misericordiosi… ».
Nella fede è garantita questa totale e gratuita disponibilità a farsi tutto a tutti.

2) BEATI COLORO CHE HANNO FAME E SETE… È solo la fede in grado di poter mettere in condizione di saper rinunciare alla propria giustizia, al proprio progetto per amare quello di Dio.
il cristiano sa di non poterlo realizzare con le sue forze, saziando così la sua vanità: opera invece nella fede perché Dio doni, a suo tempo, quella pienezza di giustizia di cui il Regno è portatore (Mt 6, 25-34).
Su questa ricerca mette tutta la sua passione e la suo forza (fame e sete) con un impegno che lo spinge a fare molto e a donare molto: per questo si compromette totalmente per il Regno.
La sua non è una attesa passiva e disincarnata, ma una tensione continua alla santità che coinvolge il mondo intero in un cammino di autenticità, di lealtà e di schiettezza.
Rompe con l’ipocrisia e la falsità che impediscono di essere ciò che si deve essere per uno sforzo continuo e tenace a convertire se stesso per servire, in verità, l’altro.
È un impegno di giustizia per chi non può essere e per chi, se è, non ha, sostenuto unicamente dall’amore.
È una giustizia che si chiama misericordia e che prende il suo volto dal perdono e dalla carità (Cf. Enciclica « Dives in misericordia »).

3) BEATI I MISERICORDIOSI… È la fede che ti rende misericordioso fino al punto di rinunciare alla tua stessa dignità per farti carico e partecipe della miseria altrui. È l’esperienza del perdono dato perché ricevuto: è l’esperienza del dono della misericordia di Dio.
Più ti scopri peccatore e indegno di essere amato e più ti meraviglia il perdono di Dio che ti accoglie e ti ama. La Samaritana, la Maddalena, Pietro, Paolo… diventano capaci di misericordia e di amore proprio per l’esperienza personale di essere stati perdonati: in questa logica è persino naturale amare i propri nemici (Mt 5, 43-48).
Quello slancio di amore che scaturisce da Cristo è tale da farti superare i confini delle possibilità umane: si ama come Cristo ama.
Ma questo è realizzabile solo quando Cristo prende dimora in noi e diventa il tutto del nostro essere e del nostro esistere.
Riconciliazione ed Eucaristia sono al tempo stesso dono di misericordia e fonte di continua misericordia perché il discepolo diventi nel mondo sacramento dell’amore. Non ci sono più diritti da accampare o limiti da porti ma solo una esigenza di amore da realizzare nella linea di una carità « che tutto scusa, tutto crede, tutto spera e tutto sopporta » (1 Cor 13).

VEDRANNO DIO

1) Si confonde spesso la libertà con il diritto di dare sfogo ai propri istinti.
Erotismo e ribellione vengono predicati come valori a cui non si deve porre alcun limite o alcun controllo.
Il « mi piace » e il « non mi va », il piacere e l’odio si sostituiscono come norme di comportamento a una educazione rispettosa e completa dei sentimenti della propria personalità.
Si tamponano le conseguenze con scelte di comodo, ma si evita la fatica di maturare un uso umano e razionale di queste realtà.
La castità, che Cristo propone nel « Beati i puri… e nel Beati gli operatori di pace… », non è altro che questa educazione alla piena e vera maturità umana al servizio dell’amore e della pace.

2) BEATI I PURI… La castità non è la rinuncia alla propria realtà sessuale (sarebbe una menomazione), ma una scelta prioritaria per il Regno: è rinuncia al proprio modo di gestire questo dono per metterlo al servizio di Cristo in qualunque situazione esistenziale ci si venga a trovare (matrimonio, verginità). Solo da una appartenenza indivisa a Lui può nascere quella linearità e quella semplicità che ti fa il cuore come quello di un bambino.
Per educarsi a queste novità di vita non basta la rinuncia alle proprie azioni disordinate, occorre soprattutto guardare alla volontà di Cristo per costruire quell’unità interiore che coinvolge ogni aspetto della vita.
Il cuore è puro quando l’uomo non compie nessun tentativo per trattenere per sè e per possedere e quando ogni mio pensiero e ogni mio gesto sono espressione serena e limpida dell’amore di Cristo.

Allora l’uomo vedrà Dio e diventerà immagine di Dio nel mondo: come Mosè sul monte o i discepoli sul Tabor sarà in grado di rimanere sempre in contemplazione e di guardare ogni cosa e ogni realtà con gli occhi stessi di Dio. Sarà così portatore nel mondo della libertà di Dio che dona con gratuità e creatività.

3) BEATI GLI OPERATORI DI PACE… Dal contemplare al fare secondo l’ottica divina il passo è breve e semplice. Fare la pace significa infatti portare in tutto e in tutti l’amore del Padre, significa trasmettere sempre quella serenità che nasce da un interiore unità, significa ricalcare le orme del Figlio, che è venuto a portare la pace.
Per questo il discepolo è chiamato figlio di Dio e lo è realmente.
Ma il segreto e la sorgente di questa azione di pace sta solo nell’assorbire e nel respirare pienamente Dio: ciò avviene nella preghiera che è la strada che ti educa ad essere pienamente uomo per un servizio di amore.
Tanto quanto l’azione scarica al tuo esterno quell’amore accumulato nel contatto con Dio, altrettanto diventa necessaria la preghiera per riprendere calore ed energia. Quanto più uno fa tanto più deve pregare: quanto più uno prega tanto più è in grado di essere vero uomo e di agire secondo il progetto di Dio.
Non è quindi un generico essere contro la violenza o la ribellione che Cristo chiede, per essere operatori di pace, ma un impegno educativo, su di sè e nel mondo, da portare avanti con continuità e gradualità.
Solo così si può rinnovare alla radice una mentalità di egoismo e di odio che portano alla morte.
Le difficoltà, gli insuccessi e i fallimenti momentanei non devono scoraggiare o far desistere da questa azione educativa: il Regno della pace, proprio perché è dono del Dio trascendente, ha ritmi e tempi diversi dalla logica di questo mondo.

BEATI VOI…

1) La nona beatitudine, con il passaggio dalla terza alla seconda persona, introduce una nuova prospettiva: ci conferma che la gioia, proposta nella sua totalità nelle otto beatitudini precedenti, ci riguarda personalmente.
Nel momento in cui i discepoli sono perseguitati, se accettano di essere in rapporto con Cristo, scoprono che la beatitudine si realizza in loro. Avviene cioè il passaggio al concreto, sperimentato e vissuto, che si attua attraverso la partecipazione alla Passione di Cristo e alla missione dei profeti.
Ma è un passaggio che avviene in una esperienza di comunità, di Chiesa (plurale); le beatitudini quindi si realizzano per il singolo in questa dimensione fondamentale.
Solo così partecipa della gioia che nasce dal fatto di essere inserito nella pienezza di Cristo, che introduce « nei cieli », cioè nella gloria del Padre celeste.
È questa dimensione comunitaria che fa avvertire al mondo di trovarsi di fronte a una realtà, che senza usare violenza, scardina il suo ordine e il suo assetto: al mondo non resta che sfogarsi con parole, con calunnie, con violenza e soprusi contro questa comunità.
Confessa così la sua sconfitta di fronte a una comunità che proclama, con la testimonianza e con la vita, quella verità che Cristo ha annunciato: fa paura la voce di questi poveri e miti e la loro sofferenza tanto paziente e silenziosa.

2) VOI SIETE IL SALE DELLA TERRA… Tutto questo è anche una responsabilità: la chiamata alle beatitudini rende il discepolo sale della terra. Deve dare « gusto » alla vita, alla intera umanità.
A coloro che sembrano così estranei a questa terra viene affidato il compito di essere per tutta la terra, e non solo per la propria comunità, quella forza purificatrice e conservatrice che gli nasce dall’essere sale. Il cristiano non è chiamato a diventare sale, ma il fatto stesso della chiamata lo rende sale.
È la sua esistenza di chiamato che è in gioco, se vie ne meno a questo compito e a questo servizio finisce distrutto e calpestato. Non è un di più lasciato alla sua discrezione: è un elemento caratterizzante e legato al senso stesso della sua esistenza. Essere chiamati vuol dire essere sale o essere distrutti, vuol dire seguire fino in fondo Cristo o finire. È la chiamata stessa, e non può essere diverso, che annienta il chiamato che non si fa carico di questa responsabilità.

3) VOI SIETE LA LUCE… All’invisibile azione del sale corrisponde, nei medesimi termini, la responsabilità di essere luce ben visibile. Anche a volerlo non si può rimanere nascosti. Il nascondersi sotto il moggio è rinnegare la chiamata stessa. Non si devono però confondere le cose: è la luce di Dio che deve essere visibile e non l’uomo.
La candela non va confusa con la luce che propaga: deve stare sul candeliere, ma deve essere solo strumento di luce. Senza questa luce il mondo rimarrebbe oscuro e opaco e non avrebbe colore: ogni raggio di questa luce che viene fermato, è un’ombra che si proietta all’infinito.
Per questo il discepolo è chiamato ad essere sempre limpida trasparenza e per questo ogni raggio che ferma su di sè diventa un furto che fa sentire il suo peso sul mondo intero.

Lascia un commento