Da San Barnaba a Campertogno

La prima rampa...

Probabilmente era la fine degli anni 70 per la precisione il 1976 quando per la prima volta ebbi a che fare con don Ernesto Prina.
Per chi dopo la Comiunione e la Cresima aveva ancora intenzione di frequentare la chiesa e l’oratorio, “passava” di maestro ed il “losco figuro” che spesso terrorizzava noi bambini che esageravamo all’oratorio o in chiesa era proprio lui: don Ernesto.

Sicuramente la prima volta in assoluto che vidi don Ernesto avevo 8 anni e quindi … nel lontano 1974 ma quasi di sicuro era li da prima. Ma non credo tanto prima.
Non so neanche se prima di giungere a san Barnaba in Gratosoglio don Ernesto avesse avuto esperienze in qualche altra parrocchia, ero troppo piccolo per pormi questa domanda e nessuno mi ha mai raccontato nulla. Sapevo solo che il paese di origine era Varese. E per questo ci divertivamo a sfotterlo; perchè la squadra di calcio per la quale tifava era il Varese …

Poi ad un certo punto, se non ricordo male durante le vacanze estive alla fine della (forse) III media mi sono ritrovato a Campertogno. Non ricordo l’anno. Non riesco proprio a ricordare quel periodo: fine I media o fine III media ?

Sentivamo parlare di Campertogno da quelli più grandi di noi, sicuramente dagli educatori che seguivano noi “primini” in ambito parrocchiale ed esisteva anche della “mitologia” a riguardo, fatto sta che ricordo ancora la prima salita: zaino (in prestio), sacchetto con gli stivali (neri da pioggia), sacco a pelo (in prestito) e il sentiero interminabile. Poi ad un certo punto del sentiero c’era don Ernesto ad aspettarci e ricordo ancora bene il mio saluto entusiasta: “Ciao don !!!” e la sua deprimente risposta: “su dai, dai non perdete tempo: muoversi !!!”.
Forse il giorno dopo ho pronunciato per la prima volta la frase: “Questo uomo lo detesto” …

“Campergono” per noi era un gruppo di baite (Le Stricce) a circa 1200mt di altitudine in un paesino della val Sesia (VC), appunto Campertogno. Ma parlando di Campertogno, universalmente, si parlava delle “baite”. Esisteva anche l’Oratorio di san Rocco ma questo è più un ricordo … femminile

Perchè proprio in quel posto: spero che prima o poi qualcuno me lo racconti. Mi piacerebbe sapere la vera storia.

Le “baite di Campertogno” si raggiungevano dopo aver percorso un dislivello di circa 500mt che costava indicativamente un’ora di camminata a discreto passo. (per i nostalgici:cliccare cul link) Diciamo anche un’ora e mezza. Era un complesso di tre baite: due grosse ed una più piccola.
Di fronte alle baite un piazzale ricavato sicuramente su quello che restava delle mura del piano terrento di una baita crollata. Era il piazzale dove i primi tempi si mangiava all’aperto e si faceva il falò.

Nella baita più grossa c’erano le camere: una grossa, una più piccola ed una cameretta dove in totale si poteva dormire in una trentina di persone. Nell’altra baita c’era la sala da pranzo e la stanzetta “purgatorio” di don Ernesto. Sotto i depositi.
La baitina più piccola era adibita a deposito-dispensa.

A rendere “interessante” il tutto era la totale assenza di: energia elettrica, gas, acqua corrente e servizi igienici. Tutto si faceva sfruttando la natura. Non c’era neanche la strada e quindi tutte le provviste le portavamo su “a spalla”.

Questo è quello che ricordo io del mio primo anno a Campertogno.

Ho sempre creduto che Campertogno fosse una creatura di don Ernesto ma se non sbaglio anche don Alberto (l’allora parroco) deve averci messo qulacosa. Spero che qualcuno prima o poi racconti la  vera storia dalle origini.

Campertogno bisogna averlo vissuto per capirne a fondo il significato, nessuna descrizione potrà mai rendere l’idea di cosa possa aver rappresentato e rappresenti per noi che ci siamo stati. Il disagio della situazione, soprattutto i primi anni, è veramente una cosa irrisoria in confronto la bagaglio di esperienza e

Ruscello

di sensazioni che quel posto è stato in grado di generare per molti tra coloro che l’hanno vissuto.

Penso di parlare per tutti dicendo che il ricordo è a dir poco indelebile.

Spero che qualcuno riesca in qualche modo a comunicare questa esperienza a chi purtroppo non avrà l’opportunità di viverla.

P.

3 commenti

  1. inasmi said,

    18 aprile 2011 a 20:54

    la storia di don Ernesto a Campertogno inizia nel lontano 1970, con i ragazzi della parrocchia San Giorgio di Sesto San Giovanni e dal 1973 con i ragazzi di Gratosoglio,

  2. Donatella Lottici said,

    30 settembre 2013 a 10:00

    Ricordo quando ( oltre alla tua roba) ti caricavano lo zaino di vari tipi di cibarie , scopendo dopo anni che usavano anche una vecchia funivia!!
    Ricordo le incursioni notturne che si dividevano tra scherzi per mettere solo paura , e andare nella dispensa per mangiare delle fettazze di pane con nutella!!!
    Non parliamo dei blocchi intestinali!!
    Mi chiedo chi avesse mai fatto la pipì durante la notte??

  3. pierfurbino said,

    30 settembre 2013 a 21:24

    La “teleferica” !!! Solo per pochi eletti. Veniva usata fondamentalmente per portare atrezzatura, materiali da costruzione ed il grosso delle cibarie ad inizio stagione. Portare “un po’” di provviste sulle spalle faceva parte del messaggio edicativo che quel posto doveva trasmettere: il sacrificio. Ricorderai che a quel tempo nulla era permesso, se non ricordo male qualche volta ci hanno persino ritirato gli orologi. A voler ben vedere anche l’unico gabinetto aveva un po’ il suo senso. E quindi pipì e altro, se non volevi sottostare a code interminabili ed imbarazzo, le si andava a fare quando il richiamo della natura si faceva sentire, ed ovunque. Nel mio caso ovviamente da “piccolo” me ne badavo bene dall’uscire durante la notte (visto i racconti che a quel tempo giravano), ma successivamente, la notte o la mattina prestissimo era il momento migliore. A volte ripensandoci sento ancora i rumori ed i profumi di quel posto (… non del cesso …) alla mattina prestissimo.


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